Ecco gli ulivi plurisecolari di Capri: hanno dai duecento ai mille anni di età

Non la Grotta Azzurra né i Faraglioni. Perché c'è un'altra Capri, forse meno convenzionale rispetto a quello esaltata dalle cartoline, che promette di catturare l'attenzione dei viaggiatori. E di chi voglia coglierne l'essenza, oltre la superficie. Costa sud-ovest dell'isola, il sentiero dei Fortini: fino al Faro di Punta Carena è un susseguirsi di oliveti, uno dopo l'altro. Gli alberi convivono con la macchia mediterranea e un'associazione nata nel 2014, L'Oro di Capri, ne ha promosso il recupero dopo decenni di abbandono.

Ritrovando, in qualche modo, il paesaggio originario degli oliveti terrazzati e favorendo la produzione, da parte di circa cinquanta soci, per lo più hobbisti, un olio extravergine di altissima qualità. E scoprendo, grazie ad uno studio commissionato Cnr IBBR di Perugia, che qui - nei quasi 50 ettari monitorati - si trovano alcuni tra gli ulivi più antichi della Campania, esemplari di età compresa tra i duecento e i mille anni, o quasi.

Proprio così: un recente studio, pubblicato sulla rivista scientifica " Scientia Horticulturae", ha evidenziato l'esistenza di 21 genotipi diversi sull'isola, testimoni di una insospettabile biodiversità: alcuni rimandano alla cultivar Throumbolia, diffusa soprattutto in Grecia, prevalentemente a Creta. Ma è soprattutto la determinazione dell'età, effettuata mediante datazione al radiocarbonio e specifiche formule algebriche, che ha fornito nuove evidenze. Alcune delle quali particolarmente rilevanti. "Abbiamo contestualmente fatto luce sull'età centenaria degli alberi analizzati, che rappresentano resti di antiche coltivazioni di olivo, risalenti a diversi secoli fa" spiega Carlo Alessandro Lelj Garolla, coordinatore dell'associazione di olivicoltori capresi e tra gli autori della pubblicazione, insieme a Soraya Mousavi, Saverio Pandolfi, Angelo Lo Conte e Roberto Mariotti.

E il primato spetta a un esemplare di ulivo, varietà Minucciola, che potrebbe avere quasi mille anni di età (c'è un margine di errore potenziale nei calcoli), strettamente imparentata con la Dritta di Moscufo.

Non distante, un altro esemplare di quasi 500 anni. Il censimento, che riguarda dodici alberi, con relativa geolocalizzazione, suggerisce anche un potenziale percorso di trekking tra gli ulivi, più o meno monumentali, dell'isola. Un'idea in linea con una fruizione turisticamente matura e consapevole, da un punto di vista ambientale, di un territorio che si è spesso interrogato, di recente, sui rischi legati invece all'aggressione dell'overtourism.

Di questo si è parlato anche nell'ultimo convegno nazionale FAI- Fondo per l'Ambiente Italiano, organizzato a Napoli, al Teatro Bellini, gli scorsi 24 e 25 febbraio. Il "case study" di Capri ha acceso i riflettori su una realtà in crescita: negli ultimi anni, per ottenere un olio extravergine di altissima qualità, durante tutto il ciclo produttivo la rete associativa - grazie, in particolare, al lavoro dell'agronomo Angelo Lo Conte - ha garantito ai soci il monitoraggio dei principali parassiti, l'assistenza alle concimazioni e ai trattamenti antiparassitari, la consulenza sulle modalità di potatura, sulla lavorazione del terreno, sull'irrigazione e un'assistenza alla raccolta. «Per la coltivazione delle olive si applicano le tecniche agricole tradizionali mentre per la trasformazione ci si avvale delle migliori tecnologie di frantoio», spiega Lelj Garolla.

E così, ancor prima di avere chiara la carta d'identità degli ulivi isolani, l'extravergine di Capri ha attecchito nelle scuole isolane, con una sensibilizzazione della comunità dei giovanissimi studenti attraverso merende ultra-salutari e ha ispirato feste in campagna ed eventi. Con il Comune di Anacapri, inoltre, l'associazione ha promosso - su impulso del presidente Pier Luigi Della Femina - il progetto "Mamma Evo", favorendo il consumo dell'olio extravergine a chilometro zero tra le neomamme, in modo da educare i neonati al sapore naturale già nella fase dello svezzamento.

«Oggi - conclude Lelj - la vocazione all'ulivocoltura dell'isola è sempre più conosciuta ed apprezzata anche dai turisti, che possono trovare e chiedere il prodotto anche nei migliori ristoranti del territori, per vivere un'esperienza enogastronomica intensamente e che sia pienamente caprese».

di Pasquale Raicaldo

“La Repubblica” (ed. Napoli), del 4/03/2024

Indietro
Indietro

L'Oro di Capri alla 16ª edizione di Olio Capitale, il Salone degli extravergini tipici e di qualità di Trieste

Avanti
Avanti

Il FAI a Napoli “Curiamo il patrimonio raccontandolo” - il case study de L’Oro di Capri